NON MOLESTERAI IL FORESTIERO NÉ LO OPPRIMERAI,
PERCHÉ VOI SIETE STATI FORESTIERI NEL PAESE D'EGITTO
(Esodo 22,20)

Xenos è in greco lo straniero, l'ospite,
ed a sua volta l'italiano "ospite" indica colui che accoglie e colui che è accolto.
XENODOKÌA è l'accoglienza dell'ospite/straniero.
La Calabria nel corso dei secoli è stata meta di moltissimi popoli, a volte ospiti,
a volta ostili, diversi per tradizioni, lingue e religioni:
greci, latini, arabi, ebrei, normanni, albanesi, spagnoli,
occitanici, slavi, armeni, e altri ancora.
Di quel che rimane di questi flussi e influssi, della loro storia,
della loro cultura e della loro attualità vuole occuparsi questo blog,
senza ignorare le nuove immigrazioni.
Mi occuperò quindi dei popoli di antico insediamento e tuttora presenti:
Arbëreshe, Grecanici, Occitani e Rom, con occasionali incursioni
tra popoli non più presenti (Armeni e Germani) o presenti in modo sporadico (
Ebrei)
o in nuove forme (Arabi e Slavi), o presenti per la prima volta nelle nostre terre
in questi ultimi anni (Cinesi, Curdi, Romeni).

Eventi e appuntamenti

6/18 ottobre, Vaccarizzo (CS), S. Costantino Albanese (PZ), Melpignano (LE), Oristano: Per isole. Culture di minoranze

6/18 ottobre Cosenza, Campobasso, Potenza, Roma: Per isole. Culture di minoranze

31 ottobre Carosino (TA): Gli arbereshe e il Mediterraneo, e del libro "Il Mediterraneo vissuto" di Pierfranco Bruni

lunedì 6 ottobre 2008

Popoli islamici

All'armi! all'armi! la campana sona:
li turchi sù arrivati a la marina!
Per secoli questo grido ha risuonato lungo quasi tutte le coste italiane, e con particolare intensità lungo le nostre. Rimasto nella memoria storica degli anziani, il ricordo delle incursioni "saracene", che ha determinato molto della nostra storia, influenzando anche la lingua e la cultura.

Presenti in Calabria sia con incursioni (per oltre un millennio: a partire dai primi dell’800 dC, viene annotato l’ultimo tentativo di incursione nel 1842 al largo di Punta Stilo!), che con occupazioni temporanee e la costituzione di piccoli emirati in varie località (Squillace, Santa Severina, Amantea, ecc.), gli “arabi” (detti variamente turchi, saraceni, mori, agareni, ed in altri modi ancora) non erano realmente tali.
Ciò che li unificava era la comune religione islamica, ma in realtà provenivano da un’enorme area che va dall’estremo occidente all’estremo oriente del bacino mediterraneo.
Nonostante fossero incursori e depredatori, strinsero intensi rapporti commerciali ed economici con la Calabria, alla quale trasmisero non solo terrore, ma anche cultura e conoscenze tecnologiche.
Grazie a loro giunsero colture come quella del gelsomino o di vari agrumi: bergamotto, e forse arance, mandarini e limoni.
Furono comunque uno degli elementi che causò la decadenza della nostra terra, non ultimo l’impoverimento demografico, con la cattura di schiavi, e l’abbandono delle coste.
Bisogna comunque dire che la cattura ed il commercio degli schiavi veniva esercitato anche dai cristiani nei riguardi delle popolazioni musulmane.
E bisogna anche aggiungere che in alcuni casi gli stessi calabresi, oppressi dalla miseria, si facevano catturare, nella speranza di un futuro migliore, o quanto meno di non morire di fame.

Uluj Alì (Occhialì)
Emblematica in questo senso la vicenda del pirata Occhialì, che, catturato dai turchi, si convertì all’islam, raggiunse posizioni di prestigio e guidò svariate incursioni in quella che una volta era la sua terra.
Oppure di Scipione Cicala (sebbene per alcuni fosse siciliano o genovese), sul quale resta una strofa di un antico canto popolare:
Arrivaru li turchi, a la marina
Cu Scipioni Cicala e novanta galeri.
Na matina di maggiu,
Cirò vozzi coraggiu
Mentre poi a settembri, toccò a Riggiu.
Genti fujiti, jiti a la muntagna,
Accussì di li turchi nessuno vi pigghia!


Dei rapporti e della dominazione testimoniano molte parole entrate nel nostro vocabolario: zirru, giarra, tafareda (contenitori); articoli commerciati erano fjannacca (collana) e juppuni (camicia femminile), e del linguaggio commerciale fanno parte anche magazeni e tamarru (venditore di datteri); tùmanu (unità di misura agraria), màzara (pietra per schiacciare gli alimenti preparati nel salaturi), gebia (vasca di irrigazione), farruba (carruba), zàccanu (recinto per animali), sciàbica (rete da pesca) mostrano l’influenza nelle tecniche agroalimentari, e termini come guàjara (ernia) e limbiccu (alambicco, per produrre l’alcol) appartengono al campo medico-farmaceutico.
Ed infine, turcju (turculus = piccolo turco) era il bambino morto senza battesimo, suraca (syriakè = siriana) erano i fagioli.
Restano tracce anche nei nomi di alcuni paesi: Saracena, Bagaladi (da Baha’llah = Splendore di Dio), e Altomonte si chiamava originariamente Brahalla (Baraka'llah = Benedizione di Dio), nonché molte contrade e località: Torre Saracena variamente presente, Pietra del Califfo a Stilo, e molti altri.
Dei musulmani rimasti, o discendenti da quelli che prima erano i dominatori, o schiavi catturati dai pirati "cristiani" restano alcuni cognomi: Alì, Morabito, Modafferi, Alfarano, ecc. e forse anche Armocida; un'origine "turca" potrebbero avere gli antenati delle varie famiglie Turco, Saraceno, Lomoro.
Secondo qualcuno, del trascorso di invasioni resta la diffidenza verso i forasteri, e dell'influenza islamica resta l'atavica rassegnazione e l'assoggettarsi al destino, ma questo è un campo molto più complesso da affrontare.

Oggi assistiamo ad un ritorno di elementi arabi e musulmani di tipo completamente diverso: curdi, irakeni, afghani, somali e maghrebini.
E’ il fenomeno dell’immigrazione: gli spostamenti di popoli sono sempre avvenuti e sempre avverranno, non possiamo che essere contenti che oggi si svolgano non immigrazioni pacifiche per quanto clandestine e “fastidiose”.
In questo campo, la Calabria, accanto a tutti i problemi che sappiamo, mostra fenomeni di integrazione con reciproco arricchimento culturale ed anche economico.

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